Nell’800 e nel 900 Ipazia, la donna, la scienziata, la martire, assurge a simbolo di saggezza in un mondo offuscato dalle tenebre della violenza di Vittorio Alessandrelli La vita e il senso della morte di Ipazia assunsero dalla metà dell’Ottocento in poi, un valore emblematico: Leconte de Lisle le dedicò nel 1852, due poesie. Nel 1853 Charles Kingsley ne fece il personaggio principale del suo romanzo storico, “Hyphatia, or New Foes and Old Face” (Ipazia, ovvero nuovi nemici in veste antica). Gerard de Nerval, ne le “Filles du feu”, fa rievocare al personaggio di Angelica la distruzione della biblioteca di Alessandria e la morte di Ipazia, con queste parole:«La celebre biblioteca di Alessandria non era aperta che ai sapienti o ai poeti conosciuti per opere di qualche merito, e chi andava a consultarvi gli autori era alloggiato e nutrito gratuitamente per tutto il tempo che gli piaceva trattenervisi.
E a questo proposito permettete ad un viaggiatore che ha passeggiato sulle sue rovine e ne ha interrogato i ricordi, di vendicare la memoria dell’illustre califfo Omar dalla colpa di quell’eterno incendio della biblioteca di Alessandria che gli viene comunemente rimproverato. Omar non ha mai messo piede ad Alessandria qualunque cosa ne abbiano detto molti accademici. E non ha mai avuto l’occasione di inviare ordini, al riguardo al suo luogotenente Amru.
La biblioteca di Alessandria e il Serapeion, o casa di soccorso, che ne faceva parte, furono bruciati e distrutti nel quarto secolo dai cristiani, i quali inoltre trucidarono per strada la celebre Ipazia, seguace della filosofia pitagorica. Sono eccessi che forse non si possono rimproverare alla religione, ma è giusto scagionare dalla imputazione di ignoranza quei poveri Arabi, che con le loro traduzioni ci hanno conservato le meraviglie della filosofia, della medicina e delle scienze greche, non trascurando le proprie opere che illuminano incessantemente con i loro raggi splendenti la nebbia ostinata delle epoche feudali».
E Charles Peguy, che esalta la grande serenità del suo spirito, in un tempo nel quale tutto un mondo crollava percorso da violenze inaudite: e ancora Diodata Saluzzo Roero, con il suo “Poema d’Ipazia, ossia della Filosofia” fino al grande vecchio della nostra poesia, Mario Luzi con il suo “Libro di Ipazia”.