Il Museo Anatomica della Seconda Università di Napoli

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Ha finalmente riaperto al pubblico il Museo Anatomico della Seconda Università di Napoli; è questa una svolta attesa per oltre trent’anni durante i quali l’accesso è stato riservato ai soli studiosi e addetti ai lavori.L’inaugurazione è avvenuta lunedì 14 marzo nell’Aula Antonelli del Complesso di Santa Patrizia, seguita da una visita al Museo e da un convegno, trasmesso anche in streaming, intitolato Il museo anatomico testimone di Napoli: dal Mito alla Scienza.

Durante l’esposizione si è voluto ripercorrere la storia di questo luogo d’interesse storico e scientifico e far luce su quelle potenzialità culturali della città di Napoli che troppo spesso vengono ignorate e penalizzate.

Come ha sottolineato il prof. Michele Papa, direttore della struttura, è da attribuire al museo anatomico il ruolo di testimone del come la città di Napoli, a partire dal ‘500, sia passata dagli approcci pre-galileiani al metodo scientifico attraverso un percorso di matrice culturale. Lo stesso sindaco de Magistris ha fortemente manifestato la volontà di far divenire questo luogo, come tanti altri presenti sul territorio napoletano, un punto di eccellenza e fulcro del riscatto cittadino.Questo polo culturale e scientifico fu fondato attorno al 1650 da Marco Aurelio Severino, luminare della medicina del tempo, presso l’ospedale S.Giacomo Apostolo e, solo successivamente, trasferito all’Università ampliandosi anche con le raccolte del Gabinetto Anatomico degli Incurabili.

È infatti a partire dal XVII sec. che nacquero i primi preparati anatomici, gli esperimenti con cera, le iniezioni vascolari e la tecnica della pietrificazione.

Calcinazione, ad opera di Giuseppe Albini

Durante la seconda guerra mondiale qualcosa andò perduto poiché il luogo funse da rifugio per i civili e molti furono i reperti distrutti dai soldati.

Fu così che, a partire dagli anni Ottanta e grazie al lavoro di Vincenzo Mezzogiorno e di Vincenzo Esposito, iniziarono gli interventi per la catalogazione, la salvaguardia dell’intero bene e per la sua definitiva sistemazione; i lavori strutturali richiesero quasi un decennio.Il Museo Anatomico della Seconda Università di Napoli è divenuto un patrimonio di valore inestimabile e dà ospitalità ad una collezione composta di un gran numero di esemplari: reperti anatomici molto antichi, trattati contenenti le tecniche e modalità di conservazione più varie. Può dirsi, oggi, un gioiello del nostro territorio poiché, salvo collezioni scientifiche specifiche, è l’unico museo vero e proprio del settore ed è fonte di interesse scientifico a livello nazionale ed europeo.

Tavolino formato da un impasto di interiora. Al centro, è adagiata una mano di donna.Ospita le pietrificazioni di Efisio Marini (1835-1900) che, proprio una volta trasferitosi a Napoli, elaborò un innovativo metodo di mummificazione; il primissimo Atlante di anatomia umana; un fondo librario contenente volumi antichissimi; passando poi per i numerosi strumenti chirurgici d’epoca romana l’impatto è di eccezionale portata.Tra i reperti più affascinanti può vedersi l’omero di Vesalio, padre dell’anatomia e primo a dissezionare un corpo umano; il feto di un bambino che mai ha visto la luce, rimasto nel ventre materno per 28 anni; gli organi genitali maschili e femminili di Donna Peppe, un ermafrodita.

Ancora, particolare interesse suscita il teschio della giustiziata tramite impiccagione Giuditta Guastamacchia, oggetto di analisi per gli studiosi di fisiognomica criminale in quanto donato al museo dal noto psichiatra Biagio Gioacchino Miraglia e frutto dei suoi studi approfonditi entro la frenologia.Ci si imbatte poi nelle Tsantsas (teschi di valore rituale) della tribù degli Shuar, noti volgarmente col nome di Jìvaros (barbari) e originari della Foresta Amazzonica. Dopo aver ucciso un nemico, il guerriero Shuar procedeva a tagliare la testa e ne riduceva le dimensioni mediante una tecnica d’essiccazione a base di sabbia calda e colpi di martello di cui è meglio non dare dettaglio.

La visita di questo luogo, sconsigliata ad un pubblico impressionabile, si rivela non solo estremamente interessante ma anche un veicolo per comprendere come la bella Napoli sia stata, nel tempo, protagonista di impensabili rivoluzioni culturali.

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